martedì 24 maggio 2016

Risposte a domande che nessuno ha fatto...

Ci sentiamo senza accorgercene invincibili

fino a che...
Panorama dall'inferno (02/2015)

Ci sono dei momenti in cui mi guardo allo specchio e mi chiedo “Perché ti fai questo?”. 
Come se fossi io a scegliere.
Ogni volta che reprimo paura, tristezza e dolore provo un forte dolore alla testa come se in qualche modo il mio corpo cercasse di avvisarmi che quello che faccio non è corretto. 

Eppure…
 
Quando ho deciso che reprimere fosse meglio che sfogare? Quando ho deciso che l’attacco è la miglior difesa? Quando ho deciso di non mostrare quanto forte io possa provare un sentimento, forse di più di tutti gli altri? 

Ma allora che senso ha? 

Che senso avrà mai la possibilità di provare sentimenti amplificati, quando hai un trauma che te lo impedisce, come uno schiaffo nel bel mezzo di uno sbadiglio?

Ogni volta che mi guardo allo specchio sembra essere l’unico momento in cui davvero potrei piangere, se non fosse per i rumori che vengono dall'altra stanza, i quali mi ricordano che c’è qualcuno a cui rendere conto per quella voglia di piangere, quella voglia di essere debole anche solo per un minuto. 

Poi mi chiedo come fa, chi mi guarda, a non accorgersene, ogni giorno mi vedo più stanca, più segnata. 

Lo vedo perché i miei occhi sembrano più grandi rispetto al resto del viso.

Quando è così di solito non è più facile guardarci dentro?

Poi inizio ad arrendermi all’idea che forse non è poi così importante, che forse dovrei smetterla di dare finti allarmismi. In fondo se loro non se ne accorgono, magari tutto questo non c’è… 

Possibile? Può davvero essere tutto frutto della mia povera mente malata?

Non so ancora per quanto riuscirò a resistere, e da un lato vorrei che il farmaco che mi hanno prescritto faccia il suo effetto. Spero lo faccia prima che sia troppo tardi, prima che impazzisca di nuovo.

Ogni giorno ho paura, ogni giorno ho il terrore, ogni notte quando faccio fatica a prendere sonno, l’angoscia mi assale. 

Paradossalmente la paura di essere felice che avevo quando ero una ragazzina, si ripropone oggi con la tortura psicologica della mia fantasia al guinzaglio, quasi per paura che vada a finire letteralmente sotto un camion. 

Quella che provo non è paura, ma puro terrore. Terrore di me stessa, terrore del non riuscire a controllare ciò che per chiunque è normale al contrario lasciar volare in alto, come è “giusto" che sia.
 
E poi, basta uno squillo del telefono a riportarmi di nuovo al gelo, al non provare, al controllo. E devo solo sperare che qualcuno o qualcosa mi porti di nuovo ad avere un momento forte, per poter di nuovo sentire le brezza del sentimento, qualsiasi esso sia.

Questo è il prezzo che pago per avere una flusso di pensieri veloce, innaturalmente veloce. 

01/2015
Lo chiamano scompenso chimico, per me è l’inferno travestito da paradiso.





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